“Ivo Saglietti, Padre Paolo Dall’Oglio e Deir Mar Musa el-Habasci
Qualche parola su Ivo, un amico, un grande fotografo, un grande narratore per immagini.
L’amicizia è sentimento strano, imprevedibile. Non ci si vede, non ci si sente per anni, finché un accadimento da noi lontano, ci scuote da quell’ingiusto torpore.
L’accadimento è la vicenda umana, religiosa, di Padre Paolo Dall’Oglio.
Ivo era stato chiamato dallo stesso Padre Dall’Oglio a testimoniare fotograficamente la Comunità da lui fondata in Syria, nel monastero di Deir Mar Musa el-Habasci.
Ne sono scaturite le immagini che si possono ammirare in mostra e nella pubblicazione La Tenda di Abramo. Sono suggestive e coinvolgenti, perché parlano della vita di una comunità con al centro il possibile dialogo tra religioni.
Ora che Padre Dall’Oglio è scomparso dal 2013, rapito a Raqqa da Al-Qaida, mentre cercava una difficile trattativa per la liberazione di alcuni ostaggi, possiamo forse considerare nostre queste immagini, appartenenti all’immaginario di una vita nell’ipotesi di una morte.
La vita e la morte, per Padre Dall’Oglio, sembrano facce della stessa medaglia, da lui stesso coniata con il suo agire.
Padre Dall’Oglio è vivo? Padre Dall’Oglio è morto?
E’ una sospensione temporale che appartiene, tutta, a lui, ma anche al nostro tempo.
Un tempo strano che oscilla tra la vita e la morte in una reciprocità che ci coinvolge tutti, anche grazie alla sua straordinaria esperienza, ovunque egli sia, comunque egli sia, lontano dall’avere, all’oggi, definito la sua condizione esistenziale.
La mostra che proponiamo è l’evento, che occupa il tempo dell’incerto, dell’indefinito e che lascia spazio, incredibile, alla speranza.
E’ la potenza di quel bianco, di quel nero a dare infinitezza a quegli spazi, che scuotono ed invitano alla riflessione con discrezione e umiltà, per riuscire a cogliere gesti determinati e teneri.
Voglio soffermarmi, ora, sulle parole che Padre dall’Oglio ha rivolto a Ivo:
“... il bianco e nero è poi micidiale nell’andare oltre l’illusione ed il velo dell’apparire …”
“…le mani. Non so come fai, ma è come se le mani venissero incontro, accoglienti, operose o semplicemente posate, ma mai ovvie...”
“…la tua macchina fotografica è discreta, rumore quasi zero.…I tuoi scatti non sono quelli di un fotoreporter, ma quelli d’un compagno di strada che diventa amico…”
“…hai saputo fotografare la nostra speranza al di là della sofferenza. Grazie….”
Il luogo, i luoghi, il personaggio, i personaggi, di questo struggente racconto fotografico, meritano di continuare a vivere negli occhi e nel cuore di chi vorrà vederli, con il silenzio dello sguardo.
Una mostra, un percorso visivo di conoscenza dell’altro, di realtà che apparentemente non ci appartengono, ma che spesso abbiamo dentro, radicate più di quanto possiamo immaginare.
Osserviamo, in silenzio, questo esplosivo susseguirsi di immagini e ce ne accorgeremo.
Moreno Mondaini